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L'INTERVISTA«Minacce a mia madre e alla mia ragazza e non ci posso fare nulla»

30.04.24 - 06:30
Soldi contati e valigia sempre in mano, Rémy Bertola e la fatica del tennis
Freshfocus
«Minacce a mia madre e alla mia ragazza e non ci posso fare nulla»
Soldi contati e valigia sempre in mano, Rémy Bertola e la fatica del tennis
«Vivo di tennis? No, faccio fatica. Ma sono ottimista».
SPORT: Risultati e classifiche

LUGANO - I riflettori, con la loro luce abbagliante, sono puntati su altri. A Rémy Bertola di questo però non importa: sta vivendo il suo sogno e non ha alcuna intenzione di svegliarsi.

Il ticinese è anzi determinato a lavorare duro per far sì che il suo presente e il suo futuro diventino ogni giorno più dolci. Lui che, numero 392 della classifica ATP, in fondo sembra lontano dall’essere un atleta di successo.

«Il tennis è uno sport particolare - ha spiegato il 25enne - In tanti mi dicono "Non sei Federer". Io rispondo "È vero, ma di Roger ce n’è uno solo. Quanti ne trovate in giro così? Non è un campione, è di più, è un fenomeno generazionale". A qualcuno la mia classifica sembra modesta. È così? Per fare un paragone con un altro sport, fossi un calciatore sarei probabilmente titolare in Premier League. O, pensando al basket, sarei forse un giocatore di NBA. Non di quel livello? Almeno il play titolare del Real Madrid in Eurolega. Non mi sembra poco. Poi adesso sono in una buona fase. Non ho sfruttato alcune occasioni, è vero, ma non sono messo male. Ho una graduatoria che mi permette di fare i Challenger, ogni anno mi sento sempre meglio e riesco a essere sempre più "dentro" questo mestiere… sono insomma ottimista».

Giocassi in Premier League, in NBA o in Eurolega avresti uno stipendio da favola. Di tennis riesci a vivere?
«Questi risultati e questa classifica mi permettono di pagarmi la stagione. Mettiamola così. E già non è male. Vivere di tennis è un’altra cosa. Faccio fatica, devo stare attento, devo fare bene i conti per ogni spesa. Il margine è minimo».

E quale classifica ti permetterebbe di vivere di tennis?
«Il primo step, il primo salto importante, lo fai quando entri tra i primi 230 al mondo. Entri nelle qualificazioni dei grandi tornei, cambiano i budget, ti avvicini ai prize money importanti… il secondo step lo fai invece quando riesci ad accedere ai tabelloni principali degli Slam».

Uno sconfitto al primo turno del prossimo Roland Garros incasserà 73’000 euro.
«Esatto, capite che cifre così ti fanno prendere una bella boccata d’ossigeno. Ti permettono, in una volta sola, di mettere da parte l’affitto annuale della casa e di provvedere a molte altre spese. Così uno è molto più tranquillo. Se invece arrivi tra i primi 50 al mondo, beh a quel punto economicamente ti sistemi».

E puoi permetterti di programmare la stagione senza ansia.
«Io faccio 30-35 tornei all’anno. Il programma lo definisco ogni due mesi cercando di fare dei viaggi sensati. È difficile che possa giocare nello stesso posto per due settimane consecutive, ma almeno provo a muovermi nella stessa zona. E con questo intendo che tra una città e l’altra magari devo fare un volo di quattro ore e mezzo, ma almeno non cambiare continente».

Sei sempre in viaggio.
«È insieme il bello e il brutto di questo sport. Da una parte la mia vita è una figata atomica. Riesco a vedere, conoscere, capire, crescere. Costantemente in giro, ho imparato a trovare immediatamente una soluzione ai problemi e a gestire lo stress. Dall’altra però, capitemi, sono sempre con la stessa valigia. Questa vita non è facile, per chi gioca come per le persone gli stanno accanto. Tenete poi conto del fatto che noi tennisti siamo dei solitari, per natura. E nel mio caso, con la mia classifica e i miei guadagni, almeno il 40% del tempo che trascorro in giro per il mondo non sono accompagnato. Avessi un altro tipo di budget mi muoverei invece con l’allenatore, il fisioterapista… Questa non è comunque una lamentela: so di essere fortunato».

Questa tua vita ti permette di fare il turista?
«A volte, quando nel programma di un torneo c’è un day off, riesco a girare un po’. Non capita sempre. Se invece tra un impegno e l’altro ho più giorni liberi, cambia tutto. Anche se, in quel caso, dipende molto da dove mi trovo: se non sono in Cina o comunque lontanissimo, preferisco prendere l’aereo e tornare a casa».

C’è un luogo che, in questi anni, ti ha colpito più di tutti?
«Ah, bella domanda. Pensando ai campi, mi vengono in mente quelli del Tennis Club di Ginevra Eaux-Vives. Sono clamorosi. Quelli, come molti altri in Svizzera, dove davvero siamo messi benissimo. Poi, certo, Monte Carlo. Ma quello è facile, non fa testo. Quelli sono la Ferrari dei campi. Per quanto riguarda i luoghi, invece, Parigi mi è sempre piaciuta moltissimo, come anche, vi sorprenderò, il centro Italia, l’Umbria. Ci sono scorci meravigliosi. Un altro posto incredibile è Bangkok. Bellissima. Ma solo da turista. Un po’ come si dice di Venezia: è bella, ma non ci vivrei»

Come sarà il “dopo” di una carriera che ti permette di pensare solo a un anno alla volta?
«In futuro, una volta smesso, mi piacerebbe aprire un’accademia, anche se il nome non mi piace molto, nella quale dare la possibilità ai ragazzi ticinesi di allenarsi con professionisti e con uno staff di alto livello. Io ci metterei la mia esperienza, tutto quello che ho imparato negli anni. Interessante sarebbe pure investire nei giovani. Se c’è qualcuno che ha delle qualità ma non le possibilità, ecco potrei sostenerlo per aiutarlo a costruirsi una sua carriera».

In passato ti sei detto molto preoccupato per il fenomeno-scommesse, un disastro per il tennis. La situazione è migliorata?
«Per nulla, è sempre un problema gigantesco ed è, purtroppo, qualcosa di inevitabile. E vi spiego perché. Nel tennis ci sono due associazioni: l’ATP, che gestisce i tornei più grandi, tranne gli Slam, e l’ITF, che pensa appunto ai Major oltre a tutte le prove minori. Ovvero i Futures e i Challenger. E proprio questi sono al centro della questione: per far sì che si possano disputare, per finanziarli, per renderli economicamente sensati, l’ITF dà alle case di scommesse l’autorizzazione di puntare sui singoli match. Cede i diritti insomma e in cambio ottiene milioni e milioni. Il problema è che questo "giochino" lo paghiamo noi atleti. Siamo conosciuti, gli scommettitori sanno chi siamo, che faccia abbiamo. A seconda di come vanno le partite, quindi, se qualcuno ha perso soldi, poi ci viene a cercare. Mica se la prende con l’ITF. Ci sono i social, è facile. Parlo per me: ricevo quotidianamente insulti e minacce di morte. A centinaia. Questo accade sistematicamente dopo ogni partita. Qualsiasi sia stato il risultato. Perché comunque qualcuno, in qualche modo, ha perso soldi. Oltre a me, hanno ripetutamente augurato la morte a mia madre e le peggiori malattie alla mia ragazza. Partono dal mio profilo e poi continuano con quelli delle persone a me vicine. Ed è così per tutti».

Terribile. E non si può far nulla?
«Puoi fare una segnalazione e magari fai chiudere un profilo. In alcuni casi si potrebbe arrivare alla denuncia, ma visti i numeri sarebbe una fatica enorme».

E l’ITF non si muove?
«Non ha interessi per farlo. Come giocatori c’è l’idea di unire le forze e chiedere una sorta di rimborso. Siamo agnelli sacrificali? Dobbiamo prendere insulti? Bene allora pagateci di più. La situazione non migliorerebbe ma almeno avremmo un ritorno economico che ci permetterebbe di vivere con meno pressione la stagione».

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COMMENTI
 

UMARELL 2 sett fa su tio
Assurdo che per Futures e Challengers non vi sia un’altro metodo di finanziamento se non quello putrido delle scommesse? Le giovani leve vengono lasciate alla mercé di questo schifo mentre il bel mondo del tennis dei piani alti fa finta di niente ! Chissà quanti talenti gettano la spugna o non ci provano neanche !

rexlex 2 sett fa su tio
Un lato oscuro che non conoscevo... ma non c'è da stupirsi... dove girano i soldi e scommesse, girano i delinquenti. a qualsiasi livello.

Flet 2 sett fa su tio
Forza Rémy! Bravo
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